Pensiamo che almeno una volta ogni proprietario di impianti biogas si sia posto questa domanda, ne abbiamo tutti sentito parlare in modi e contesti diversi ma, ad oggi, ancora si denota nel mercato una certa confusione e/o cattiva informazione riguardo questo argomento.
Per iniziare a rispondere a questa domanda dobbiamo necessariamente ricordare come il biogas si ottenga dalla fermentazione, in situazione anaerobica e dunque in assenza di ossigeno, di sostanza organica o biomassa denominata anche digestante.
Durante tale processo, colonie di batteri differenti fra loro convertono la biomassa in una miscela composta prevalentemente da metano e altri gas minori.
Entrando in questa ottica, e considerando che stiamo parlando di batteri e dunque esseri viventi, viene spontaneo immaginare come maggiormente riusciremo ad ottenere delle condizioni favorevoli per il loro metabolismo e sviluppo, maggiore sarà la loro efficienza di conversione delle biomasse in metano e di conseguenza maggiore sarà il rendimento economico dell’impianto stesso.
Proprio perché essere viventi, i batteri, hanno bisogno di assumere sostanze necessarie al loro sviluppo e sostentamento ma, nel caso in cui tali sostanze mancassero nelle biomasse utilizzate, essi andranno incontro a carenze.
Considerando che i fattori che influenzano negativamente la biologia di un impianto sono:
- le variazioni rapide di temperatura,
- le variazioni rapide di alimentazione,
- fattori inibenti quali ad esempio l’ammonio,
- presenza di composti chimici tossici quali ad esempio disinfettanti,
- carenza di macro e micronutrienti,
possiamo facilmente intuire quale sia la portata della necessità di avere un quadro di microelementi corretto all’interno dei biodigestori.
Il mantenimento, dunque, delle corrette concentrazioni dei microelementi in vasca permette di ottimizzare al meglio il processo microbiologico evitando potenziali rallentamenti fermentativi e conseguente sfruttamento scorretto della sostanza organica; ricordiamo inoltre come i microelementi agiscano come catalizzatori durante le reazioni biologiche che avvengono nei biodigestori, cioè ne agevolano e ne accelerano il corso senza però prendervi parte.
Si vuole inoltre ricordare come, nel caso in cui ci trovassimo di fronte a carenze significative, si avrebbe non solo una forte inibizione di tutto il processo fermentativo ma un rischio, se non affrontate e corrette, di degenerazione in fenomeni quali l’acidosi con conseguente interruzione totale dell’attività fermentativa.
Attenzione deve essere posta anche durante l’integrazione di tali elementi dal momento che sovradosaggi, dovuti ad esempio all’utilizzo di prodotti standardizzati non studiati sulle reali carenze dell’impianto, possano determinare situazioni nelle quali le concentrazioni raggiunte siano tossiche per i batteri.
A tal proposito si ricorda come i microelementi agiscano sinergicamente e non singolarmente come espresso dalla famosa Legge del Minimo di Carl Sprengel nel 1828:
“La crescita di un organismo non è regolata dalla somma di tutte le risorse disponibili, ma dalla quantità della risorsa più scarsa.”
L’utilizzo di integratori porta innumerevoli vantaggi sia in termini funzionali che da un punto di vista economico quali:
- Il tasso di conversione della biomassa in metano registra un incremento che può arrivare anche al 15%, a fronte di aumento del costo ricetta annuale di solo circa l’1%;
- Il processo fermentativo è più stabile;
- La biomassa mantiene una maggiore fluidità, cosa che permette una più facile gestione delle superfici e la riduzione degli autoconsumi;
- Il digestato, il quale viene impiegato come fertilizzante, risulta di migliore qualità in quanto contiene tutti i minerali necessari all’arricchimento del suolo;
Il tipo di alimentazione influisce l’apporto sull’apporto di Sali:
La concentrazione e la tipologia di Sali all’interno dei biodigestori è strettamente correlata alle tipologie di biomasse utilizzate per alimentare l’impianto.
Impianti votati all’utilizzo prevalente di colture dedicate (ad esempio il silomais) otterranno un apporto di Sali in relazione alla tipologia di terreno di coltivazione e relativo assorbimento della pianta; un impianto prettamente a vocazione zootecnica invece (ad esempio un impianto a liquami) avrà un apporto dipeso dalla tipologia di alimentazione del bestiame.
E’ semplice dunque intuire come, per ogni singolo impianto e situazione, vi sia la necessità di uno studio approfondito del quadro alimentare e biologico per verificare la presenza di eventuali carenze ed eventuale necessità di integrazione.
Un altro punto molto importante riguarda la tempistica di analisi e dunque capire quando si renda necessario valutare le condizioni di concentrazione dei Sali, per poter effettuare eventuali azioni correttive. Da una parte bisogna tenere in considerazione la frequenza di variabilità riguardante l’alimentazione stessa dell’impianto, ad esempio un impianto con una ricetta “standardizzata” (esempio uso esclusivo silomais) sarà meno soggetto a fluttuazioni di concentrazioni piuttosto che un impianto con alta variabilità di biomasse (esempio recupero sottoprodotti di lavorazioni); dall’altra per la nostra esperienza sul campo abbiamo riscontrato la necessità, nella maggioranza dei casi, di effettuare analisi di laboratorio trimestrali in grado di prevedere problematiche e poter agire in tempo con azioni correttive sulle formulazioni di integrazione.
L’apporto di Sali influisce sulle performance dell’impianto, caso di studio:
Vogliamo riportare in breve alcuni dati raccolti durante un caso studio da un nostro cliente che non utilizzava Sali e non monitorava in modo analitico la situazione all’interno dei suoi biodigestori.
- Impianto da 999 kWh composto da: Fermentatore e Post-Fermentatore;
- Alimentazione basata sull’utilizzo di letame aziendale, liquame e insilati;
Tabella di confronto dopo tre mesi di integrazione:
Grafico di confronto dopo tre mesi di integrazione:
Risultati:
- Ripresa dell’attività fermentativa in seguito ad un rallentamento causato da una sub-acidosi;
- Omogeneizzazione del digestante e miglior sfruttamento della fibra riducendo il galleggiamento superficiale;
- Maggior stabilità produttiva e conseguente riduzione della fluttuazione di gas prima molto accentuata;
- Aumento di 1 punto percentuale del valore di metano;
- Riduzione dell’1.5% degli autoconsumi riconducibile alla riduzione dei tempi di agitazione dei mixer con un risparmio economico significativo;
In virtù dunque di carenze, riscontrate tramite un monitoraggio analitico costante, di elementi all’interno dei biodigestori risulta essere fondamentale andare ad integrare macro e microelementi affinché tale situazione di carenza non si trasformi in un fattore limitante per il corretto sviluppo del processo biologico.