La progettazione di un nuovo impianto di biogas, visti gli ultimi aggiornamenti legislativi in merito a incentivi e potenze installabili, deve essere studiata cercando di sfruttare al 100 % le potenzialità e le disponibilità che l’azienda agricola di partenza può offrire.
Una volta presa la decisione di costruire un impianto di biogas, indipendentemente dall’azienda con cui andrete ad effettuare i lavori di costruzione dell’impianto, gli aspetti più importanti da considerare all’inizio sono:
- Alimentazione
- Potenza dell’impianto
- Volume fermentativo
- Sistema di carico
- Sistemi di pompaggio
- Miscelazione
Un aspetto fondamentale riguarda la scelta dell’alimentazione e quindi la ricetta che verrà utilizzata nell’impianto. La tipologia di alimentazione deve essere chiara fin dall’inizio poiché a seconda delle disponibilità aziendali o extraziendali di biomasse possiamo definire la potenza che il nostro impianto dovrà avere, a seconda appunto delle quantità di biomasse o reflui che abbiamo a disposizione. Per questo motivo è bene sapere quanti prodotti aziendali ho a disposizione ed eventualmente capire se avrò la necessità di dover acquisire altri prodotti dal mercato esterno. Sicuramente la soluzione migliore consiste nel valorizzare a pieno i prodotti e le disponibilità aziendali in modo da dover acquisire dall’esterno meno prodotti possibili.
Una volta decisa la potenza dell’impianto, la tipologia di ricetta che andremo ad utilizzare sarà di notevole importanza per definire al meglio la tipologia impiantistica che meglio si addice alla mia ricetta.
Il primo aspetto da definire è il volume fermentativo e di conseguenza il numero di vasche che avrà il mio impianto. Sappiamo bene come fino ai 99 kwh di potenza gli impianti vengano costruiti con una vasca sola, tuttavia, già con potenze medio piccole come 249 kwh è possibile adottare soluzioni impiantistiche con due vasche, per finire poi con impianti da 999 kwh che possono presentare addirittura a 4 vasche. Il volume fermentativo è fondamentale poiché, sapendo la quantità di biomasse con cui andiamo ad alimentare giornalmente il nostro impianto, possiamo definire un concetto di primaria importanza: il tempo di ritenzione.
Il tempo di ritenzione si calcola rapportando al volume fermentativo del nostro impianto la quantità giornaliera di biomassa in ingresso. Il risultato ci indica il numero di giorni che le biomasse restano all’interno dell’impianto (Fig.1.1). A parità di condizioni, un tempo di ritenzione più lungo porta a una maggiore degradazione della sostanza organica e, quindi, in senso assoluto all’aumento della produzione di gas. Sicuramente costruire impianti con volumi fermentativi importanti presuppone investimenti iniziali maggiori, tuttavia, avrò un riscontro migliore in termini di efficienza degradativa delle biomasse e quindi nella produzione di gas. Costruire un impianto con un tempo di ritenzione non adeguato per la tipologia di ricetta utilizzata porta ad avere problematiche produttive da non sottovalutare. Avere un tempo di ritenzione non adeguato significa sovralimentare l’impianto poiché non viene sfruttato il 100 % del potenziale delle biomasse che andiamo ad introdurre.
Fig.1.1: Formula del Tempo di ritenzione. Vb= volume fermentativo (m3); Qb= portata volumica giornaliera di biomassa (m3/giorno) (Fonte: Fiala, 2012).
Nel grafico sottostante riportato in Fig.1.2. vediamo come all’aumentare del tempo di ritenzione ci sia una maggiore digestione dei solidi volatili e quindi della sostanza organica. La digestione della sostanza organica è influenzata notevolmente anche dalla temperatura del digestato, all’aumentare della temperatura, aumenta anche la velocità di degradazione. La temperatura è un altro parametro molto importante che condiziona il processo anaerobico e quindi l’attività dei batteri.
Fig.1.2: Relazione tra tempo di ritenzione, digestione SV e temperatura del digestato (Fonte Dell’Antonia, 2012).
Un altro aspetto, non meno importante, da tenere in considerazione al momento della costruzione di un nuovo impianto è la modalità di caricamento delle biomasse. Impianti di piccole potenze che utilizzano come alimento principale i reflui zootecnici ed in particolare i liquami, possono fare a meno di avere un sistema di carico dell’alimentazione solida; in questo caso basta adottare un sistema di pompaggio adeguato che convoglia i liquami aziendali verso l’impianto riducendo di conseguenza il costo dell’investimento iniziale.
Impianti di piccole potenze che utilizzano letame ed il resto degli impianti che utilizzano biomasse solide di qualunque tipologia, oltre ad un sistema di pompaggi, necessitano di un sistema di caricamento delle biomasse solide.
Solitamente è previsto l’utilizzo di tramogge di carico seguite da coclee (Fig.1.3) o nastri che accompagnano le biomasse solide all’ingresso dell’impianto.
Fig.1.3: Esempio di tramoggia per caricamento biomasse solide con coclee (Fonte: S.A.C. costruzione macchine agricole)
In alcune tipologie di impianti è presente anche un sistema misto che prevede l’omogeneizzazione della frazione solida direttamente con la frazione liquida, solitamente liquame. Tutto questo viene effettuato da una pompa monovite che riceve dalla parte alta il solido e dalla parte laterale il liquido, in questo modo entrambe le frazioni vengono miscelate e condotte verso l’impianto (Fig.1.4).
Fig.1.4: Esempio di “sistema misto” di caricamento solido-liquido (Fonte: Fluitech, pompe Wangen).
Dopo aver visto il caricamento dei solidi vediamo ora i sistemi di pompaggio; è molto importante scegliere adeguatamente la tipologia di pompe che andranno a costituire il circuito dei pompaggi dell’impianto, sia per quanto riguarda la gestione dei liquami in ingresso che la movimentazione del digestato tra i vari digestori e lo scarico finale nelle vasche di stoccaggio. Il parametro da tenere in considerazione quando si deve decidere quali tipologie di pompe utilizzare è sicuramente la sostanza secca del digestato e dei reflui in ingresso. Lavorando con sostanze secche che non superano il 7-8 % è consigliabile l’utilizzo di pompe centrifughe, in caso contrario, se alimento il mio impianto con biomasse molto fibrose e quindi il mio digestato presenta un tenore di sostanza secca anche del 12-14 %, è consigliabile utilizzare delle pompe monovite. In Fig.1.5. vengono mostrate a titolo esemplificativo le due tipologie di pompe appena citate.
Fig.1.5: A sinistra esempio di pompa monovite (Fonte: Bauer) e a destra esempio di pompa centrifuga (Fonte: Carein)
Un ultimo importante aspetto da considerare nella progettazione di un impianto di biogas è la scelta del numero e della tipologia di agitatori.
Una miscelazione adeguata permette di avere un digestato omogeneo all’interno delle vasche facilitando l’azione dei batteri e quindi aumentando l’efficienza dell’impianto. Inoltre, mantenendo il digestato omogeneo riduco la formazione di addensamenti superficiali e sedimentazioni sul fondo dei digestori.
Il criterio da seguire nella scelta degli agitatori (mixer) è il medesimo di quello adottato nella scelta dei sistemi di pompaggio. Anche in questo caso il parametro da tenere in considerazione è la sostanza secca del digestato all’interno delle vasche. Conoscendo la tipologia delle biomasse che verranno utilizzate ho un’idea del tenore di sostanza secca con cui dovrò lavorare. Ci sono diverse tipologie di mixer e ogni azienda costruttrice di impianti ha le sue.
Sicuramente, la maggior parte degli impianti utilizza agitatori “ad elica” alimentati elettricamente oppure attraverso un circuito oleodinamico, solitamente ne troviamo 2/3 in ogni digestore. Mixer di questo tipo hanno il vantaggio di poter essere regolati non solo in altezza, ma è anche possibile modificarne la direzione; permettono quindi di miscelare a diverse altezze nel digestore e creare dei flussi di prodotto in diverse direzioni a seconda delle esigenze. E’ molto importante posizionare tutti i mixer in vasca nella stessa direzione in modo che si crei un moto rotatorio che consente al digestato di omogeneizzarsi al meglio. Nella Fig.1.6 viene mostrata la tipologia di mixer appena descritta.
Fig.1.6: Esempio di agitatore “ad elica” (Fonte: Biocycle, 2017).
Un’altra tipologia di mixer, meno utilizzata che viene adottata in impianti che possono lavorare con sostanze secche elevate (anche 14% di s.s.) sono i mixer “ad aspo” che pur ruotando a bassa intensità si muovono in modo continuo miscelando in modo ottimale gran parte del volume dei digestori (Fig.1.7). Dall’altro lato, mixer di questo tipo presentano elevati autoconsumi.
Fig.1.7: Esempio di agitatore “ad aspo” (Fonte: Thoni).
Riassumendo, abbiamo visto i principali aspetti da tenere in considerazione quando si vuole costruire un impianto di biogas. E’ bene avere le idee chiare fin da subito della ricetta che si andrà ad adottare; una volta deciso questa le altre scelte vengono di conseguenza.
Errori progettuali in questa fase possono compromettere l’efficienza dell’impianto una volta in funzione. Investimenti adeguati in volumi fermentativi e tecnologie di carico permettono di avere impianti performanti e più efficienti nel corso degli anni. Voler contenere troppo i costi iniziali molto spesso significata avere più problemi in un secondo momento. Come già accennato all’inizio di questo articolo, la costruzione di un impianto di biogas deve valorizzare il più possibile i reflui e i prodotti aziendali così da essere il più possibile autosufficienti.