Come già noto, la sola mitigazione delle emissioni antropiche (produzione di energia, industria, trasporti) non è sufficiente a raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Per questo è necessario adottare una completa transizione energetica e produttiva verso sistemi capaci di gestire i territori, ecosistemi e le risorse naturali in maniera sostenibile. L’agricoltura, in particolare, è il principale settore su cui viene messa una lente di ingrandimento, poiché legata strettamente alla gestione e allo sfruttamento del territorio, alla produzione di alimenti, alla produzione di bioenergia, alle foreste e alle dinamiche di deforestazione e desertificazione.
Per invertire la rotta e contenere l’incremento di temperatura causato dall’accumulo dei gas serra in atmosfera, non sarà sufficiente ridurre le emissioni con azioni di mitigazione, ma occorre anche rimuovere parte della CO2 già presente, con la messa a punto di tecniche cosiddette di carbon removal. In questo senso, lo sviluppo del biogas agricolo permette non solo di produrre energia da fonti rinnovabili ma anche di stoccare la CO2 nel suolo attraverso l’utilizzo del digestato che, se fatto in modo opportuno, può diventare carbon negative, cioè di produrre un bilancio negativo per le emissioni di CO2 in atmosfera.
Una recente pubblicazione (Valli et al., 2017) ha preso in considerazione l’impatto ambientale di quattro aziende agricole produttrici di biogas, valutando in un’analisi di Life Cycle Assessment tutte le emissioni per la coltivazione, i trasporti e i consumi per la produzione di energia elettrica o di biometano, come anche i crediti derivanti dalle mancate emissioni dovute allo smaltimento degli scarti e degli effluenti, al minor consumo di fertilizzanti e al sequestro di carbonio nel suolo.
Life Cycle Assessment è una metodologia strutturata e standardizzata a livello internazionale che permette di quantificare i potenziali impatti sull’ambiente e sulla salute umana associati a un bene o servizio, a partire dal rispettivo consumo di risorse e dalle emissioni. Considera l’intero ciclo di vita del sistema oggetto di analisi a partire dall’acquisizione delle materie prime sino alla gestione al termine della vita utile includendo le fasi di fabbricazione, distribuzione e utilizzo. Lo studio ha analizzato quattro tipologie di impianti biogas: il primo è un convenzionale impianto alimentato solamente a trinciato di mais; il secondo è un impianto situato in Pianura Padana e alimentato per la maggior parte a doppi raccolti, effluenti zootecnici e sottoprodotti; il terzo, ubicato sempre in Pianura Padana, è alimentato prevalentemente a effluenti zootecnici e il quarto impianto è situato in Puglia ed è alimentato a effluenti zootecnici e sottoprodotti (Figura 1).
Fig.1: Tipologie di impianti analizzati (Valli et al., 2017)
I risultati dello studio sono significativi e li vediamo rappresentati in Figura 2. Rispetto all’energia elettrica generata in Europa con gas naturale (la più pulita tra le “fossili”), con emissioni di 72 grammi di CO2 eq per MJ di elettricità prodotta, l’elettricità generata da un impianto di biogas alimentato 100% a mais produce 34 grammi di CO2eq per MJ, quindi poco meno della metà. Nei restanti casi la riduzione delle emissioni è notevole: a seconda delle alimentazioni, si passa infatti da 10 grammi di CO2eq per MJ ad emissioni negative di -36 grammi di CO2eq per MJ, a seconda di quanti effluenti zootecnici vengano utilizzati nell’alimentazione dell’impianto.
Fig.2: Emissioni di CO2eq per la generazione di elettricità: a sinistra per le fonti fossili e a destra i 4 casi studio (Valli et al., 2017)
In Figura 3 vengono scorporate le varie voci (positive e negative) che formano l’intera carbon footprint.
Ad esempio, nell’impianto MAN + CRP alimentato principalmente a effluenti zootecnici, l’utilizzo di queste biomasse all’interno dei digestori permette di avere emissioni di CH4 e NO2 negative a differenza di quanto potrebbe succedere con una gestione convenzionale delle stesse.
Fig.3: Analisi delle componenti deputate alla produzione di CO2eq nei quattro casi studio (Valli et al., 2017)
Un altro aspetto di notevole importanza e da non sottovalutare risulta il sequestro del carbonio nel suolo attraverso l’utilizzo del digestato come fertilizzante e quindi l’aumento di sostanza organica nel suolo. Come è possibile vedere dal grafico riportato in Figura 4, il carbonio residuo dopo la digestione anaerobica ha una capacità di rimanere stabilmente nel terreno superiore a quello degli effluenti o della materia organica da sovescio (colture invernali o residui colturali).
Fig.4: Permanenza del carbonio contenuto nel digestato rispetto ad altre matrici (Braunschweig, maggio 2018)
Dal punto di vista agronomico, elevate dotazioni di sostanza organica nel suolo favoriscono:
- regolazione dei cicli dei nutrienti e dell’acqua e maggiore resilienza;
- miglioramento della struttura del terreno e maggiore stabilità della stessa;
- incremento della biodiversità del suolo e dei benefici connessi (ad es.: mantenimento della fertilità nel tempo, turnover sostanza organica e nutrienti, degradazione degli inquinanti).
Abbiamo visto come il settore del biogas sia un importante motore per quanto riguarda la Sostenibilità Ambientale del settore agricolo. Riassumendo attraverso la digestione anaerobica è possibile:
- produrre energia rinnovabile risparmiando CO2eq;
- ridurre le emissioni di gas effetto serra in atmosfera;
- utilizzare un sottoprodotto come il digestato in sostituzione dei concimi chimici e aumentare il contenuto di carbonio nel suolo migliorandone la sostanza organica;
- migliorare il bilancio dell’azoto che attraverso il digestato risulta più prontamente disponibile per le colture.
Nei prossimi anni questo settore diventerà ancora più determinante all’interno del sistema agricolo e le sfide che dovrà affrontare saranno molte. Tra queste ci sarà sicuramente un’ottimizzazione economica degli impianti relativa soprattutto al costo delle diete e quindi la gestione e la scelta delle biomasse in ingresso.
Infine, dovrà essere migliorata l’efficienza di questi impianti, in particolare per quanto riguarda lo sfruttamento del potenziale termico che mettono a disposizione e che ad oggi viene sfruttato solo in minima parte.