La formazione di H2S (idrogeno solforato) è un processo biologico indesiderato ma inevitabile in qualsiasi digestore anaerobico, dal momento che tutte le biomasse contengono zolfo organico anche se in differente quantità. La problematica dell’idrogeno solforato è particolarmente sentita negli impianti che utilizzano ingenti quantità di reflui zootecnici come: liquami, letami, polline ect. matrici ricche di zolfo organico e conseguentemente grandi produttori di idrogeno solforato.
Sono tre i motivi principali per minimizzare il contenuto di H2S nel biogas:

  • l’idrogeno solforato è tossico ad elevate concentrazioni all’interno dei digestori e tende ad inibire il processo di digestione, riducendo di conseguenza la produttività dell’impianto;
  • l’idrogeno solforato è molto corrosivo, per questo motivo sono consigliati dei livelli di sicurezza (espressi in ppm) sotto i quali attenersi durante il funzionamento dei cogeneratori onde evitare usure anomale e relative perdite economiche anche molto gravi;
  • la combustione di biogas contenente idrogeno solforato produce acido solforico (H2SO4) che corrode i camini e le strutture metalliche adiacenti ad essi riducendone l’efficacia ed aumentando i costi di manutenzione, oltre ad avere ricadute negative sull’ambiente;

A fronte delle problematiche sopra esposte, quasi tutti gli impianti biogas ricorrono a metodologie di desolforazione atte a ridurre la problematica dell’idrogeno solforato; oggi vogliamo soffermarci su quella che viene chiamata desolforazione aerobica detta anche desolforazione biologica utilizzata per lo più a livello di impianti agricoli italiani.

 

 

 

 

 

Il processo consiste nell’insufflare piccole quantità di aria, che possono essere inserite in posizioni diverse, all’interno dei biodigestori. Specifici batteri poi, sono in grado di utilizzare l’ossigeno e l’H2S: ossidano infatti l’idrogeno solforato a zolfo elementare che si deposita su superfici appositamente realizzate (es. reti desolforanti o ancora travature in legno) abbassando in modo significativo i valori di H2S all’interno del gas.
La prima problematica che deriva da tale metodo di desolforazione riguarda le incrostazioni di zolfo puro (S) sulle pareti e strutture interne dei digestori che nei casi peggiori possono arrivare a interferire con le valvole di manovra ad esempio delle conduttore del gas o ancora ridurre/bloccare il flusso di gas nelle tubazioni con conseguente necessità di intervenire a livello manutentivo.
Anche per quanto riguarda le superfici di attacco dei batteri desolforanti prima citati andiamo incontro dopo un periodo di tempo, diverso per ogni singolo impianto, ad inevitabile manutenzione e/o sostituzione a causa dello zolfo elementare depositato e relativo appesantimento con rischio di cedimento delle strutture.
Un altro problema riguardante la desolforazione aerobica, marginale per gli impianti di cogenerazione ma problematico per gli impianti di upgrading a biometano (considerando che tutte le problematiche fino a qui esposte valgono anche per il biometano), è che per ogni metro cubo di ossigeno necessario per la desolforazione, la ventola introduce nel biogas altri 3,5 m3 di azoto, gas neutro che abbassa però il tenore complessivo di CH4 nel biogas (si ricorda che tale valore oltre una certa soglia % crei problematiche allo sviluppo di una ottimale biologia).
Tali problematiche esposte in ogni caso sono di minor impatto rispetto al risparmio economico derivante dall’utilizzo di tale metodo desolforante confrontato con altri metodi di desolforazione, spesso e volentieri tuttavia la sola desolforazione aerobica non è sufficiente a ridurre i valori di idrogeno solforato e mantenerli al di sotto della soglia consigliata ed è qui che intervengono altri metodi di desolforazione che potrete trovare esplicati in un altro articolo sempre sul nostro blog Biocustom.